Dispacci Ovali: Sei Nazioni, cavalli di ferro e gelati d'inverno
Un weekend di sconfitte e sorrisi
Buongiorno a te che leggi, e una buona domenica!
Oggi scrivo in trasferta dalle terre nebbiose del Moray. Temperature sotto zero, prati imbiancati dal gelo del mattino, e un nebbione di quelli belli che da Milanese ti fanno sentire a casa (con un filo di inquinamento in meno).
Febbraio è arrivato e con lui uno dei momenti più attesi dell’anno (almeno, dalla sottoscritta), il Sei Nazioni. Questo dispaccio vi arriverà appena prima della partita tra Scozia e Irlanda, che si svolge oggi a Murrayfield, Edimburgo (e dopo la vittoria di ieri dell’Italia sul Galles, yay!), quindi siamo in pieno fermento qui in casa.
Non ti sorprenderai se ti confesso che la mia squadra del cuore n2 è la Scozia, che sta andando piuttosto bene quest’anno (se ti interessa un dispaccio sul rugby in Scozia, ne ho parlato qui).
Settimana scorsa io e alcune mie compagne di squadra abbiamo avuto la fortuna di vincere dei biglietti per la partita Scozia v Italia ad Edimburgo con un po’ di extra belli belli, il giorno prima di una nostra partita di campionato, che è stata una bellissima esperienza.
Oggi ti porto con me a Murrayfield, per entrare un po’ nello spirito della competizioni.
E allora come si dice da queste parti…
Crouch, bind, set!
Cent’anni di Murrayfield
- Ommioddio…mi sa che è lui!
- Dove dove!? La in fondo
- O mamma sisi è proprio lui…
Sabato di sole, stranamente mite per il primo giorno di Febbraio. Siamo a Murrayfield, lo Stadio del rugby Scozzese, nella parte ovest di Edimburgo.
Siamo un gruppo di rugbiste (io italiana, madre e figlia gallesi, una anglo-tedesca e il resto della compagnia fatto di Highlanders scozzesi) in trasferta da nord, in visita grazie a una nostra compagna di squadra che ha vinto un concorso per un‘esperienza speciale per la partita Scozia v Italia, il primo weekend del Sei Nazioni. Ci troviamo ai cancelli di buon’ora, per ritirare i pass per l’accesso ad aree riservate all’interno dello stadio.
In fila con noi, alcuni pundits (commentatori) e professionisti che andranno a lavorare durante la partita. In fondo alla coda, un biondo in tweed parla con un uomo alto, imponente, il sole che riluce sbarazzino sulla testa calva. E a me viene un coccolone quando, nonostante io non abbia indosso i miei occhiali, mi rendo conto che siamo a pochi passi da Sergio Parisse, il più titolato giocatore di rugby in Italia (quarto al mondo per numero di caps), un gigante dell’ovale. Dopo qualche istante di iperventilazione, un'amica ha pietà di me e va a chiedergli se possiamo fare una foto di gruppo (insieme all’ex terza linea scozzese Kelly Brown e alle sue sopracciglia).
Quindi quel giorno incontriamo Parisse, il biondo in tweed che era Mirco Bergamasco, ancora prima di varcare le porte dello stadio. La giornata non poteva iniziare meglio di così.
Murrayfield è uno stadio speciale, comodamente servito dal tram e in cui si respira sempre un’aria frizzante. Quando ancora abitavo ad Edimburgo mi è capitato di lavorarci diverse volte come steward; e, quando sei abituata all’atmosfera tossica di un Old Firm Game, dover tener d’occhio fan del rugby è una passeggiata. (E magari sapendo francese o italiano ti può anche capitare di essere messa a bordo campo vicino ai giocatori, esperienza non male assai!).
Lo stadio, che oggi ha una capienza di circa 67,000 spettatori, quest’anno compie cent’anni (è quasi coevo di San Siro) anche se il suo look attuale risale agli anni ‘90), quindi questo è un anno di grande festa.
Se ti piacciono le foto di archivio, dai un’occhiata a questo articolo dello Scotsman.


Dalla prima partita contro l’'Inghilterra in quel 1925 (anno in cui vinsero anche il Grand Slam, ovvero vincendo tutte le partite di quello che oggi è il Sei Nazioni).
Durante la Seconda Guerra Mondiale, lo stadio venne utilizzato dai Royal Army Service Corps (un corpo dell’esercito che si occupava principalmente di trasporto interno e distribuzione di beni-materiali su suolo britannico) come deposito. E tornò al Rugby nel 1944.
Oggi lo stadio è usato soprattutto per partite di rugby internazionale, ma anche per concerti ed altri eventi.
Se la struttura principale è rimasta più o meno uguale, nel 2021 hanno anche aperto uno stadio più piccolo, che può ospitare circa 7,800 spettatori, noto come The Hive (l’alveare). Viene usato per partite della nazionale femminile e U20, e altre competizioni.
Dalla regia mi dicono che, in quanto ad atmosfera, è secondo solo al Millennium Stadium di Cardiff, ma non posso purtroppo parlare per esperienza diretta. Kilt e cornamuse, e la frenesia pre-partita. Con una Guinness in mano, i pianeti sono allineati.
Una delle nostre ‘chicche’ (oltre a delle giacche brandizzate Guinness Sei Nazioni) è il tour degli spogliatoi e del tunnel d’ingresso prima dell’arrivo dei giocatori.
Nel tunnel, troviamo due pilastri su cui sono stampati i nomi di tutti i giocatori, passati e presenti, delle nazionali femminile e maschile. Recentemente la SRU (Scottish Rugby Union) si è anche data agli archivi per trovare i nomi di giocatori e (soprattutto) giocatrici che erano scesi in campo per la Scozia in passato ma che per vari motivi (spesso perché il match non era stato all’epoca segnato come incontro tra nazionali ufficiale) non avevano ricevuto un cap (titolo dato a chi gioca in nazionale).
A guidarci nel tour è Tommy Seymour, ex ala-estremo della Scozia che ci intrattiene con un po’ di fatti e chicche su Murrayfield.
La parte più interessante è lo spogliatoio, preparato in attesa dei giocatori. Le maglie appese ai rispettivi posti, snack energetici e vari integratori ad-hoc per ciascun giocatore a fianco del kit pre-partita. Due paia di scarpette, slacciate e allentate per comodità, stanno davanti alle postazioni del gigante biondo Jonny Gray e del mediano di apertura Finn Russell (autobattezzatosi il Messi del rugby - per scherzo…forse, insomma è una personcina umile).
Uno spogliatoio bello, moderno, pulito, funzionale. Con una spada grande quanto un essere umano appesa sul lato del pacchetto di mischia.
Trattasi di un claymore (dal Gaelico claidheamh-mòr, che molto fantasiosamente sta per ‘grande spada’), un’arma usata nelle Highlands tra il 1500 e il 1700 circa.
Il claymore viene anche ricamato all’interno delle maglie dei capitani, un tocco extra di spirito battagliero.
Sul soffitto, il logo illuminato del rugby Scozzese nasconde un paio di acciacchi.
In primis un buco fatto proprio da un giocatore durante un servizio fotografico in cui doveva impugnare lo spadone, che è già alto di suo, figuriamoci se innalzato da una giraffa di seconda linea.
E poi delle macchie di Guinness risalenti all’ultima vittoria della Calcutta Cup (contro l’Inghilterra), una partita molto sentita dai giocatori in blu.
Finiamo il giro passando dal tunnel per entrare sul campo, ed è una bella visione, anche se gli spettatori non sono ancora arrivati.
Dopo esserci rifocillate di cibo e Guinness, sta per iniziare la partita. Mi sono staccata dal gruppo, internet non funziona e anche le telefonate su rete normale. I messaggi arrivano in ritardo. Quindi faccio avanti e indietro per un po’ cercando di ritrovare il gruppo. Riusciamo a comunicare, ci troviamo ai posti a sedere.
Corro tra la folla per arrivare in tempo al calcio d’inizio. Dribblo una parrucca tricolore, cerco di non starnazzare dietri ai gruppi più lenti…dopo quello che è in realtà un piccolo allenamento di rugby in sè, trovo il mio settore, scatto sulle scale, e appena vedo la luce dal tetto di Murrayfield, mi affaccio trapelata davanti a un’esplosione di bianco e blu. Siamo pronti, siamo in tempo.
Una partita a Murrayfield è un’esperienza da fare anche solo per gli inni. Sentire Flower Of Scotland tuonare dagli spalti, spesso seguita da The Bonnie Banks o' Loch Lomond, ancora dopo tanti anni mi fa venire la pelle d’oca.
Non sono una cronista e non entrerò troppo nei dettagli della partita in sè. L’Italia che riesce a stare dietro alla Scozia per un bel pezzo della partita, viene poi battuta dalla superiorità offensiva della squadra di casa, 31 a 19. Però è una bella partita, anche se i cori per l’Italia faticano un po’ ad andare in giro per lo stadio.
Ultima chicca della serata è un meet & greet con i giocatori (incontriamo il mediano di mischia Ben White e la seconda linea George Brown, entrambi molto gentili ma con la faccia che dice ‘sto stravolto voglio solo andarmi a fare una doccia’). Però riesco a strappare un selfie con il nostrano Seb Negri. In generale i giocatori italiani, anche se le hanno prese, vanno in giro per lo stadio tra i veri reparti di tifoseria italiana, incredibilmente disponibili con il pubblico.
(E forse un po’ più d’amore verso il rugby italiano s’è visto con i numeri dell’Olimpico questo weekend. Ma sto divagando).
Dopo la partita, lo stadio ha a disposizione in fan village con un megaschermo per far vedere la partita Inghilterra Irlanda. Si respira di più, sempre una bella atmosfera, con una birra in mano e i compari vicino per combattere l’aria fredda della sera nella capitale Scozzese.
Dopo un incontro casuale con la leggenda nazionale Judy Murray (madre del tennista Andy Murray, che se ne stava tranquilla in tram), la sera per noi continua a Falkirk, dove ci dirigiamo per avvicinarci alla tappa di domani, Greenock (a est di Glasgow).
La sera finiamo in un ristorante italiano (Chianti) che, nonostante la grammatica del menù mi avesse fatto preoccupare, ci fa mangiare bene a prezzi buoni (tagliatelle alla norcina consigliate!).
Prima di ripartire il giorno dopo, facciamo tappa ai Kelpies, due sculture giganti che sono l’attrazione principale di Falkirk. Sono effettivamente impressionanti. Il parco è gremito di cani e persone. Le mie compagne vanno di gelato, io prendo una cioccolata calda perchè, va bene tutto, ma è comunque febbraio.
Arriviamo in 15 contate sul campo, prima del primo infortunio a 15 minuti in partita. Poi il secondo, terzo, quarto….finiamo la partita in 11, contro una squadra arrivata con 22 giocatrici e con una seconda squadra che giocava anche il secondo tempo.
Ma il sole splende, le docce sono calde, e torniamo doloranti ma di buono spirito, nonostante tutto, verso Inverness.
Consiglio della settimana 🎧
Questa settimana andiamo di mix meno scozzese, più rugbistico, ma sempre utile.
Se volete approfondimenti (un po’ tecnici ma fatti bene bene) sul mondo del rugby, Squidge Rugby è una perla che brilla nel firmamento digitale. Lui non è scozzese ma gallese, quindi un commentario divertente da qualcuno che sta facendo l’esperienza di avere la propria squadra favorita per il cucchiaio di legno.
Per i novizi invece, qualsiasi video del nostrano Marco Paolini è una perla.
Qui una serie di video che spiegano le regole del gioco:
Buona domenica e, come sempre,
Sláinte!